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Moneta elettronica: pagamenti con bancomat o carta di credito

Il dibattito sullo sviluppo della moneta elettronica nei nostri esercizi è più vivace che mai.

Da una parte l’utilizzo di strumenti di pagamento come bancomat o carta di credito è invocato, non a torto, come il rimedio migliore alla grave minaccia rappresentata dalla criminalità predatoria che prende di mira le tabaccherie; dall’altra, però, i costi legati all’accettazione di pagamenti elettronici per molti beni o servizi a margine fisso costringono il tabaccaio ad operare con un guadagno irrisorio, se non addirittura in perdita.

È chiaro che nessun imprenditore si sottometterebbe al principio ingiusto di lavorare ogni giorno in condizioni di scarso, inesistente guadagno, se non persino di remissione.

A maggior ragione se tale principio fosse in qualche maniera avallato da un quadro normativo che non tiene conto delle specificità di numerosi destinatari degli stessi obblighi di legge.

Per questo la FIT da molto tempo invoca a gran voce, in ogni sede istituzionale, la presa di coscienza del problema, proponendo delle soluzioni chiare e di buonsenso ai rappresentanti del Parlamento e delle Istituzioni.

Sinora, tuttavia, al di là di unanimi riconoscimenti della validità delle ragioni che abbiamo esposto, l’unico intervento istituzionale concreto è giunto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che il 26 novembre scorso ha inviato alle associazioni di categoria, e pubblicato sul proprio sito web, una nota informativa sul divieto di applicare un supplemento ai pagamenti con bancomat o carta di credito.

A far intervenire l’Autorità sono state alcune segnalazioni di cittadini cui degli esercenti, fra i quali anche dei tabaccai, sembra abbiano chiesto un corrispettivo per l’accettazione di pagamenti con carta di credito o di debito per beni o servizi forniti.

Questa pratica, che la FIT ha sempre osteggiato, pur comprendendo i motivi che ne sono alla base, rappresenta una violazione dell’art. 62 del Codice del Consumo («Ai sensi dell’art. 3, comma 4, del Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, i professionisti non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di detti strumenti... – omissis –).

Una violazione che costa cara, perché la relativa sanzione è di importo iperbolico (minimo 5.000 euro).

Per questo motivo raccomandiamo, ancora una volta, di non cedere alla tentazione di supplire alle incongruenze normative con un rimedio che sarebbe peggiore del male.

La Federazione, dal canto suo, ha aderito di buon grado all’invito dell’Autorità Garante di informare capillarmente gli associati, ma il compito non si esaurisce certamente qui.

Nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, continueremo ad adoperarci con ogni mezzo ed in ogni sede per evitare che l’accettazione della moneta elettronica per il pagamento di alcuni beni e servizi comporti oneri insostenibili per la categoria.

Oneri che, ci sembra, anche alla luce dello Statuto delle Imprese, legge dello Stato in vigore dal 2011, dovrebbero essere rimossi o almeno sensibilmente ridotti, soprattutto perché riguardano servizi di interesse per la collettività che nessun esercente erogherebbe più alle condizioni attuali con strumenti di pagamento diversi dal contante.

Insomma, un equilibrio tra Codice del Consumo e Statuto delle Imprese si può e si deve trovare.

Di sicuro FIT ci proverà in tutti i modi.

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